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È quando ti metti in disparte che ti accorgi di chi sa restarti accanto. Vincenzo Cannova
Lo spreco di tempo differisce dallo spreco di materiale perché non c'è alcuna possibilità di recuperarlo. Henry Ford
È quando ti metti in disparte che ti accorgi di chi sa restarti accanto. Vincenzo Cannova
Lo spreco di tempo differisce dallo spreco di materiale perché non c'è alcuna possibilità di recuperarlo. Henry Ford
L'assieme dei lavori di Linda, Teodolinda - tempere, matite, gessetti su carta - sembrano voler suggerire un pensiero certo ad uno spettacolo che vuol essere recitato in sordina: conducono, per lo più, un gioco di contrasti difficilmente percettibile al primo mirare ma inducono l'occhio a ritornare sul disegno poiché lo richiede. Il pensiero deve essere in qualche modo completato. Opere che spesso trascendono le misure normalmente usate, poiché il disegno assume quasi la funzione di racconto, quasi una scenografia. E da qui si deve dedurre che Teodolinda presenta le sue opere quasi come scenografia ad un suo onirico racconto che si divide in vari quadri ed in varie tappe ... lasciando sempre uno spazio ad una urgente e necessaria meditazione. D'altra parte, questo presupposto, lo potrà comprendere meglio chi ha conosciuto i cortometraggi, le docu-fiction, i film di Teodolinda... E la connessione della sensibilità dell'artista (pittrice o cineasta, come si voglia) si evidenzia e lo impone. Traccia l'intimo pensiero: concede quello spazio (o pausa) necessario per immedesimarsi - con i colori, con tinte a volte forti ma più spesso spente, - trascina l'occhio di chi guarda alla ricerca di un realismo magico, un percorso velato e rarefatto, tra personaggi e paesaggio emblematici, interiori alla sua poetica. Chi guarda, deve riflettere: la fata morgana prospetta ed illude ad un sogno... ma, questa illusione, stabilmente si osserva ed è presente. Tecnicamente, si riferisce ad un'arte figurativa (la cui peculiarità si manifesta in ciò che ha tracciato). Ma lo spettacolo che si sta recitando, con colori rarefatti, velati o brillanti, trascende, va oltre alla peculiarità che sembra risiedere in ciò che rappresenta: è il medesimo quadro che sta recitando... ed é in quel senso che desidera essere capito.
Il ritorno al primitivo, quindi anche ad una pittura instituale, è tra le caratteristiche precipue del nostro tempo. Dagli Espressionisti e dai Fauves di inizio secolo, ai "Neue Wilden" (Nuovi Selvaggi) d'oggi, corre un filo rosso non spezzato della corrente opposta: cioé quella dell'accumulazione culturale. Ben lo sanno i giovani artisti, come Luca Della Casa, che si cimentano soprattutto nella rappresentazione dell'uomo, ed in particolare del suo volto. Si tratta non tanto di una regressione culturale, quanto di una identificazione, anche e sopratutto biologica, dell'humus profondo che è in noi. Ecco quindi l'interesse che si diffonde, pur in un tempo di contaminazioni e sofisticazioni tecnologiche, per la "verità" insita in un'arte che mira diritto alle radici dell'uomo. Luca Della Casa, ticinese, classe 1964, autodidatta, ma discendente da una ben nota famiglia di artisti (architetti e scultori) vuole esprimere, nelle sue tempere così perentorie e gestuali quello che è il suo impatto primario con l'esperienza della vita. Guarda il mondo, e soprattutto gli uomini, senza infigimenti e mediazioni: non intende lasciarsi immischiare dal manierismo imperante. Sta qui lo choc che noi proviamo: quella forma di imbarazzo e quasi di disagio che si ha solitamente di fronte a qualcosa di "non catalogato" dalle nostre convenzioni sociali. Ecco un volto, due volti, dieci volti, che ci fissano negli occhi: una forma di comunicazione +ab origine", slegata dagli alfabeti e dalle sintassi del gusto. Il segno è secco e largo, impetuoso, fatto di spatolate irruente, quasi lancinate. La figura esce dal buio della psiche con fantomatica evidenza, intrisa peraltro di una continua "pietas", di un sentimento che pare (almeno a noi pare) denso di pathos, fino ai limiti di un pianto che pur non c'é.
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